8. Lo status quo.

Non piace a nessuno. Persino chi ne gode lo vorrebbe cambiare (magari per goderne di più).
Tutti sanno come riformarlo, spesso a prezzo di "inevitabili sacrifici" (per gli altri). Ma pare che nessuna idea sia migliore della propria; e chi afferma la necessità di collaborare spesso si spende perché si faccia come dice lui.
Il problema grosso è che rompendo lo status quo si apre all'incertezza, soprattutto quando i risultati dipendono dall'accordo con gli avversari, che invece potrebbero optare per uno sgambetto. Così l'uovo uccide la gallina, e l'equilibrio (di Nash) si trasforma in uno stallo.
Comunque, nello stallo, ci si può consolare con il tepore della stalla, sopportandone il letame, almeno finché sono gli altri a starci dentro.
E chi può consolarsene di più?
Chi sta sopra tutti gli altri; chi governa; la maggioranza.
È suo il potere d'influenzare le regole della politica, soprattutto quelle che, governando il voto, possono minare le possibilità di rimonta delle minoranze. E Berlusconi ha già dimostrato come questo potere possa essere messo a - proprio - frutto.
La situazione attuale giova soprattutto a chi ora ha più voti degli altri: se vuole conservare il potere deve garantirsi più voti dell'avversario.
La scelta che farebbe più comodo alla gente sarebbe che questi lavori tanto bene, e risolva tanti problemi, e dimostri tale onestà, trasparenza e disiteresse da conquistare anche i voti degli indecisi.
La scelta che sembra si preferisce seguire è di fomentare l'antipolitica, coltivare la disillusione e l'indecisione. Quanti più elettori liberi e moderati rinunciano ad esprimersi, quanto più la torta del voto si riduce, mentre aumentano le porzioni relative alle meno mobili clientele elettorali. Queste sono ora più numerose a destra, confermando la naturale posizione di forza della maggioranza, cui conviene che l'elettorato potenzialmente in grado di spostare gli equilibri, di modificare lo status quo, se ne stia invece fuori dai giochi; che si lamenti pure, ma non voti.
Addirittura, più alta è la quota dell'astensione, più forte si può urlare il successo della maggioranza. Per esempio: se su 100 votano solo in 60, e di questi 36 votano per tizio e 24 per caio, tizio potrà dire che ha il 60% dei voti, per via del fatto che il non-voto non-conta; potrà anche dire che, avendo caio il 40%, lo avrà battuto con 20 punti di margine. In realtà, se questo è corretto in riguardo alla ripartizione dei seggi, non essendo previsto che ne vengano assegnati di vuoti in rappresentanza degli astenuti, è quantomeno ingannevole se riferito alle preferenze della popolazione nel suo complesso; infatti, tizio ha ottenuto solo il 36% delle preferenze e vinto di soli 12 punti su caio: come vedi sia la vittoria che il distacco vengono ridimensionati
Ma non è tutto. Se gli astenuti si ricordassero che, in ogni caso, o tizio o caio lo dovranno sopportare, che è impossibile che siano uguali sotto ogni punto di vista, e che tra i due mali è sempre meglio scegliere il minore, allora le cose possono cambiare. E di molto. Specie se i nuovi voti andassero a caio.
Basterebbe che 13 si esprimessero in tal senso, cioè il 32,5% degli astenuti, per ribaltare il risultato e rimettere in discussione uno status quo altrimenti fuori discussione.